di Claudio Facchinelli
(16 luglio 2019)
Digitando su Google “l’angelo di Kobane”, compare la foto di una ragazza in tuta mimetica, che fa con le dita il segno della vittoria; di seguito, un articolo spiega come sia poco plausibile che quell’immagine sia riferibile alla figura divenuta tragicamente leggendaria.
Trovo irrilevante, se non stucchevole, domandarsi se la foto di quella ragazza, diffusa in rete, ritragga davvero la protagonista de L’angelo di Kobane, del britannico Henry Naylor, non solo per l’accuratezza con cui l’autore si è documentato, traendo un racconto esemplare ed efficace delle tragiche vicende che hanno insanguinato quel teatro di guerra. Per chi ha visto lo spettacolo nello Spazio Artistico Alik Cavaliere, Rohana esiste: un testo ben scritto, la regia misurata di Simone Toni, l’interpretazione di una splendida attrice, Anna Della Rosa, le hanno conferito autenticità, più convincente di quanto possa farlo la storia o la cronaca.
Lo spettacolo, che sarà in scena la prossima primavera al teatro Franco Parenti di Milano, si inserisce nel progetto “Stanze”, creato da Alberica Archinto e Rossella Tansini nel 2012, che porta il teatro in luoghi alternativi (appartamenti privati, bar, case museo, atelier), nell’ambito di una politica culturale che tende ad avvicinare fasce di pubblico altrimenti poco motivate.
Vi assistiamo seduti ai bordi di quello che era il chiostro di un antico convento, in un edificio che si affaccia su via De Amicis (un tratto di quella che i milanesi chiamano ancora Cerchia dei Navigli). Ora è un giardino erboso, con diversi alberi da frutto e, al centro, lo scheletro di un albero di bronzo, opera di Alik Cavaliere, che di quel luogo aveva fatto il proprio atelier, e che ospita ancora le sue particolarissime sculture: forme arboree e floreali, a un tempo realistiche e magiche.
Anna è già in scena, seduta un po’ in disparte su una panchina: indossa abiti dimessi, jeans e una camicia; sulle ginocchia, un borsone di tela.
Quando lo spettacolo inizia, Anna si alza, si appropria con sicurezza di quell’atipico spazio, e cattura il pubblico iniziando a raccontare la storia di Rohana: la prima adolescenza, i rapporti con i coetanei, i suoi sogni, pur contrastati dal padre – fascinosamente autoritario – di diventare avvocato; e poi il coinvolgimento, suo malgrado, nella lotta armata; l’accettazione della ripugnante necessità di uccidere; fino alla sua morte atroce.
La scena è disadorna: oltre agli elementi naturali del giardino, solo un grosso ceppo di legno, sul quale è conficcata una roncola. La luce è quelle della sera ancora chiara, fino a quando, nel finale, si accenderanno con discrezione delle luci elettriche ai lati. In questa semplice scenografia Anna si muove con naturalezza; estrae dal borsone veli colorati che getta gioiosamente in aria, o che si annoda attorno al capo; ci restituisce una miriade di personaggi, e le vicende truculente in cui viene trascinata.
Ma il suo registro espressivo non è mai sopra le righe: anche nelle scene più atroci, la violenza è sublimata dal simbolo, dalla parola sempre convincente e precisa.
Sorprende la capacità comunicativa di un’interprete dalla bellezza raffinata ma non appariscente, che riesce per oltre un’ora a imporsi al pubblico con la sua sola captativa presenza scenica e con l’efficacia della parola, senza orpelli.
Da notare che, in una stagione in cui l’uso dell’amplificazione è divenuto ormai invasivo (spesso per coprire una insufficiente capacità di fonazione), Anna Della Rosa riesce a farsi ascoltare, senza forzo apparente, in uno spazio aperto, acusticamente improbo. Un’osservazione che potrebbe sembrare puramente tecnica, ma non lo è, poiché attiene all’identità, alla specificità del teatro, luogo principe ove il verbo può incarnarsi.
Claudio Facchinelli
L’angelo di Kobane, di Henry Naylor; con Anna Della Rosa
Traduzione di Carlo Sciaccaluga; creazione visiva di Christian Zurita; regia di Simone Toni
Produzione: Teatro Nazionale di Genova
Visto il 16 luglio 2019 nel giardino del Centro Artistico Alik Cavaliere