di Marco Gandolfi
(20 luglio 2019)
La Rassegna di Drammaturgia Contemporanea è l’appuntamento di fine stagione che il Teatro Nazionale di Genova ha organizzato nella sua ventiquattresima edizione dal 29 maggio al 6 luglio 2019. Al solito gli elementi caratterizzanti la rassegna sono l’accento su testi internazionali, contemporanei e messi in scena con un’economia di mezzi scenografici che a volte è assoluta, coerentemente ciò che si aspetta da una mise en èspace. Questa sobrietà può essere, niente affatto paradossalmente, un moltiplicatore di energia e concentrazione teatrale, fino a trasformare questo appuntamento, almeno per alcuni appassionati, non nella semplice coda della stagione, bensì nel suo coronamento. Una sorta di sublimazione verrebbe da dire, un chiudere in bellezza facendo pulizia, per concentrarsi sulla verità nuda del teatro – o almeno un tentativo in questa direzione. Con esiti a volte così felici da chiedersi come mai l’approccio non sia esteso alla stagione tradizionale, non semplicemente nel recupero degli spettacoli – cosa che a volte accade – ma anche nella modalità di messinscena. Forse la ragione di essere e del successo della rassegna sono proprio quelli di posizionarsi in dialettica con la stagione principale e tradizionale; è materia da dibattere se la tradizione dovrebbe essere dell’una o dell’altra.
La cifra della rassegna è la forma, che ovviamente anche per il teatro è sostanza: una forma spesso vuota, con scenografia e costumi ridotti, una scabra concentrazione sul corpo dell’attore e il suo rapporto prossimo con il pubblico. Ma forma anche dello spazio che contiene l’esperienza teatrale, luogo solo superficialmente architettonico, ma essenziale nella creazione di un contesto emotivo: la Piccola Corte è il luogo che ospita tre dei cinque spettacoli ed è per sua costituzione e simbologia prolungamento della dialettica che si citava poco sopra. Costruendo la platea ad anfiteatro sul palcoscenico del Teatro della Corte normalmente utilizzato durante l’anno teatrale del Nazionale, si crea una inversione simbolica e di sostanza. Il pubblico sta insieme agli attori nel loro spazio, nella loro prossimità. Con l’annullamento della distanza arriva il potenziamento del coinvolgimento, l’evocazione di uno spazio unico – emotivamente anzitutto – che crea la possibilità di una scintilla – un preludio di fuoco. Discorso simile, ma meno forte, può farsi per l’altro luogo che ospita la rassegna, la Sala Mercato, che ha connotati più da laboratorio che da piazza pubblica.
Sarebbe comunque fuorviante trarre conclusioni complessive e generali sull’approccio di mise en éspace dei cinque spettacoli di questa edizione considerandoli appartenenti a una matrice unica o simile. Quello che probabilmente viene evidenziato attraverso questa modalità di rappresentazione è proprio l’eterogeneità qualitativa e di sostanza dei testi; e se qualche limite c’è nella messinscena è più da imputare al testo stesso o alle scelte di rappresentazione che alla modalità in sé.
Gli esiti più alti della rassegna mostrano esattamente questo: Rob (di Efthymis Filippou) con una potente prova attoriale di Simone Cammarata ci restituisce in tutta la sua forza affabulatoria e magmatica il gorgo di parole foscamente geniale del co-sceneggiatore di Yorgos Lanthimos. Possiamo toccare con mano il franare dei nessi identitari su cui la pièce si concentra, lo scabro affastellarsi dei topoi linguistici e narrativi; pare di assistere a una rievocazione situazionista in cui lo spiazzamento di senso di nuclei narrativi arbitrariamente affiancati ne rivela al tempo stesso la vitalità e la convenzionalità, nel teatro come nella vita.
Sta invece a The Confession di Wael Qadour l’onere di porre per l’ennesima volta la domanda se sia lecito fare teatro – o poesia, o musica – mentre la realtà – della guerra in Siria in questo caso – incombe. Ancora una volta la risposta è sì, quando come in questo caso la realtà diventa il teatro e viceversa, e la parola evocata si fa strumento sempre più preciso e affilato per capire la verità banale dell’orrore.
Il gioco del palcoscenico nudo, dell’inversione tra platea e scena è l’arma principale che la messinscena di Sono come voi, amo le mele di Theresia Walser usa per accelerare la sua grottesca trasfigurazione di maschere sospese tra un sé pubblico e uno privato. Raccontando in modo sarcastico il narcisismo performativo di tre compagne di vita di famosi dittatori giunge al cuore del paradosso: si può usare l’artificiosità recitativa per denunciare quella di un carattere?
Quando invece le scelte e i temi sono più convenzionali la lente di ingrandimento della mise en éspace come uno specchio muto ce li rimanda nudi e crudi. Estate in dicembre di Carolina África Martín Pajares è il candidato più probabile al successo in una rappresentazione tradizionale perché ha già in partenza la caratura genetica della innocuità da stagione stabile. Una sorta di tiepida problematizzazione di tutte le grandi e piccole tragedie della vita lo percorre senza attrito contrappuntata con un’ironia che fa della modalità ripetitiva la sua meccanica di base. È facile immaginarlo nella categoria di alleggerimento non banale in un cartellone invernale.
Bashir Lazar di Evelyne de la Chenelière ha al contrario una densità talmente delicata nel trattare temi tragici e ingombranti (il suicidio e la sua responsabilità, il lutto, l’essere straniero) da lasciare la sensazione di aver ricevuto una confidenza personale detta a mezza bocca.
Quello che resta dopo un mese di recite e un viaggio in cinque universi così lontani è anzitutto la soddisfazione del percorso e una certa compiaciuta ammirazione. E una considerazione: se è pur vero che la magia del teatro che travolge e sconvolge è un asintoto sempre sfuggente irrimediabilmente cercato e ricercato, va comunque detto che ogni grande incendio può divampare partendo solo da scintille. Qui non mancano, a volte sono molte, a volte producono fiamme alte e coinvolgenti; in un contesto di grande qualità testuale e tematica il lavoro registico di Simone Toni per The Confession ci sembra il più riuscito, trasferendo fedelmente la dinamica drammaturgica dell’irruzione del reale in scena in modo ammirevole. La curiosità infine riguarda le enormi potenzialità di Rob e del suo protagonista: una forza che divampa quasi incontrollata a tratti, resta aperta la domanda se mettendole le briglie non si rischi di ammutolirla. Anzi la vera sfida sarà non farlo.
Rassegna di drammaturgia contemporanea, Teatro Nazionale di Genova. Programma: PICCOLA CORTE 29 maggio – 8 giugno Bashir Lazhar (Canada) di Evelyne de la Chenelière
Produzione TEATRO NAZIONALE DI GENOVA
Regia Sara Thaiz Bozano
Interprete Fabrizio Matteini
Versione italiana Fabio Regattin
Assistente alla regia Valentina Favella
Scene e costumi Anna Varaldo
SALA MERCATO 5 – 15 giugno Estate in dicembre (Spagna) di Carolina África Martín Pajares
Produzione TEATRO NAZIONALE DI GENOVA
Regia Andrea Collavino
Interpreti Fiammetta Bellone, Elsa Bossi, Sara Cianfri, Elena Dragonetti, Alice Giroldini
PICCOLA CORTE 12 – 22 giugno Sono come voi, amo le mele (Germania) di Theresia Walser
Produzione TEATRO NAZIONALE DI GENOVA
Regia Barbare Alesse
Interpreti Ernesta Argira, Cristiano Dessì, Lisa Galantini, Irene Villa
SALA MERCATO 19 – 29 giugno Rob (Grecia) di Efthymis Filippou
Produzione TEATRO NAZIONALE DI GENOVA
Regia Alberto Giusta
Interprete Simone Cammarata
PICCOLA CORTE 26 giugno – 6 luglio The Confession (Siria) di Wael Qadour
Produzione TEATRO NAZIONALE DI GENOVA
Regia Simone Toni
Interpreti Andreapietro Anselmi, Melania Genna, Aldo Ottobrino, Roberto Serpi, Kabir Tavani
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