Peer Gynt – Le storie di un ladro di storie
di Henrik Ibsen
Teatro Stabile della Sardegna
Teatro Massimo di Cagliari
Produzione Teatro Stabile della Sardegna
Regia di Guido De Monticelli
con Simone Toni
Pagina ufficiale del
Teatro Massimo di Cagliari
Contesto storico
Peer Gynt è il figlio di Jon Gynt, uomo un tempo ricco e rispettato ma che ora è diventato un ubriacone, ha perso tutto il suo denaro e ha lasciato Peer e sua madre. Peer vorrebbe recuperare l’onore ed il denaro che il padre ha dilapidato ma in realtà si perde in sogni a occhi aperti, passando la maggior parte del tempo senza far nulla. Un giorno resta coinvolto in una rissa, diventa un fuorilegge e fugge dal paese. Durante la fuga incontra prima tre giovani vedove e poi una donna vestita di verde, la figlia del re dei troll, che lo vuole sposare.
Solveig (o Solvejg), donna che Peer aveva incontrato a un matrimonio e di cui si era innamorato, lo raggiunge presso la sua capanna nella foresta ma Peer la rifugge e si rimette in viaggio. Rimane lontano per diversi anni, cambiando identità ed occupazioni, inclusa quella di uomo d’affari impegnato in una spedizione sulle coste del Marocco. Vaga attraverso il deserto, passa il Memnone e la Sfinge, diventa capo beduino e profeta. Prova a sedurre Anitra, figlia di un beduino e finisce persino in un manicomio al Cairo, dove viene salutato come imperatore. Infine, ormai vecchio, sulla strada di ritorno al paese natio, fa naufragio. Tra i passeggeri incontra il Passeggero Sconosciuto (considerato da alcuni studiosi il fantasma di Lord Byron) che vorrebbe usare il cadavere di Peer per scoprire dove si trovano i sogni.
Tornato a casa in Norvegia, Peer Gynt assiste al funerale di un compaesano e partecipa a un’asta, dove vende tutto ciò che possiede della sua vita precedente. Peer incontra il Fonditore di bottoni, il quale sostiene che l’anima di Peer deve finire nel crogiolo di un fonditore insieme ad altri oggetti fusi mal riusciti se Peer non è in grado di dire quando, nel corso della propria vita, è stato “se stesso”. Peer incontra anche un personaggio chiamato l’Uomo Magro (probabilmente il Diavolo), il quale crede che Peer non sia un vero peccatore da mandare all’inferno.
Peer, molto confuso, finalmente raggiunge Solveig, che lo aveva aspettato nella capanna. Lei sostiene che Peer è sempre stato se stesso nella fede, nella speranza e nell’amore che da sempre prova per lui. E sarà proprio grazie al suo amore che Peer verrà finalmente liberato.
Note di Regia
«Peer, tu menti!». È la prima battuta di questa grande favola teatrale sulla crescita, sulla ricerca di sé, di questa galoppata che abbraccia un’esistenza intera, dalla fanciullezza alla vecchiaia, ma che è tutta condotta, dal primo istante fino all’ultimo, sul dorso scalpitante di un’unica età: quella del nostro essere ragazzi. «Peer, tu menti!». È mamma Aase che si rivolge al figlio scapestrato che le sta raccontando proprio della sua ultima prodigiosa cavalcata in groppa a una renna su per le creste ghiacciate del nord, sul filo del precipizio. E di quando la renna scivolò nell’abisso, e tutti e due, cavalcatura e cavaliere, precipitarono nel vuoto a rotta di collo. E di come, nel precipitare, lui, Peer, scorse nel fondo qualcosa di bianco che luccicava, e pareva il ventre di una renna, ed era «la nostra immagine riflessa dalle acque del lago» che stava sotto, e che dal fondo saliva alla superficie «con la stessa velocità con cui noi precipitiamo». Ed è tutta una tastiera di emozioni, quella con cui la madre ascolta le parole del figlio: furore, apprensione, terrore, come se lei stessa fosse lanciata su quell’ottovolante, impotente a salvare il suo ragazzo, infine di nuovo furore: «Ah, demonio d’un contaballe!… Questa storia ora me la ricordo, l’ho sentita quando avevo vent’anni. Era successa a Gudbrand Glesne… non a te!».
Peer è un inventore di storie. O meglio: Peer è un ladro di storie. Ed è, di volta in volta, il narratore o il personaggio, o tutti e due insieme. In questo senso è come il suo autore, Henrik Ibsen, che “ruba” il suo Peer Gynt a una novella del suo conterraneo Asbjørnsen, il quale diceva, appunto, di Peer, che era un tipo singolare: «raccontava sempre che lui stesso aveva preso parte a tutte le avventure che si diceva fossero capitate un tempo».
E così, sempre a caccia di storie, dopo i primi tre atti vissuti nella sua terra madre, la Norvegia, lo ritroveremo, nel quarto, in età matura, proiettato in una bizzarra Iliade “turistico-affaristica” sulle coste del Marocco e poi nel deserto e in Egitto a tu per tu con la Sfinge.
E Peer sarà, di volta in volta, commerciante di negri per la Carolina e di statuette di idoli per la Cina e poi, per virtù di contrappasso, esportatore di missionari ben forniti di calze, bibbie, riso e rum, e, in una vertiginosa altalena di sogni di grandezza e ricadute nella bancarotta fisica e morale, eserciterà la professione di profeta, in abiti orientali, attorniato da fanciulle danzanti, per finire davanti alla Sfinge e al suo eterno enigma, e concludere il suo viaggio in un manicomio del Cairo, incoronato re dei pazzi.
Storie di un ladro di storie, sogni di un eterno ragazzo alla ricerca del suo sé, che confluiranno nel grande atto del ritorno – il quinto – nel quale ogni figurazione del passato diventa, indifferentemente, mito immemoriale (racconto, ancora racconto) o strato di una cipolla da sfogliare senza mai trovare il nucleo.
E che cos’è, questo consistere in un nulla che è tutto (già Don Chisciotte ci aveva provato proiettandosi nelle storie illusorie e insieme reali dei suoi amati libri di cavalleria) se non la strada dell’artista, del narratore, del poeta, infine dell’attore? Proprio come fa dire Pirandello al suo mago Cotrone, in quella battuta che abbiamo usato come epigrafe a tutta la nostra stagione: «Non si dà mai il caso di dirla, la verità, come quando la si inventa».
È l’avventura d’esser sé, per usare il titolo che abbiamo dato al nuovo Festival di filosofia, al quale, questo nostro viaggio all’interno del Peer Gynt ibseniano, è intimamente intrecciato. E sarà, in tutti i sensi, un viaggio, che non pretendiamo certo di completare in un solo episodio (lo spettacolo si concentrerà per ora sulla giovinezza norvegese di Peer), e che viene presentato con inedite modalità di lavoro, imbarcando nell’impresa, insieme agli attori della compagnia, molti giovani che ci hanno aiutato a sognarlo nei suoi molteplici aspetti: i ragazzi della Facoltà di Architettura, che ne hanno immaginato il ricco itinerario visivo; e quelli del Conservatorio di Cagliari che ne hanno sognato la musica e i suoni; e i giovani attori coinvolti, a cui si sono uniti – in quella che abbiamo chiamato “la bottega delle arti e del pensiero” – gli studenti della Facoltà di Filosofia, impegnati, nel corso di tutto l’anno, in seminari filosofici e teatrali, alla ricerca dei grandi temi di quest’opera e della loro messa in pratica nel concreto lavoro di palcoscenico: e tutto questo in preparazione del festival e dello spettacolo.
L’avventura d’esser sé, ovvero esserlo fino al punto di rifiutarsi all’ultimo incontro col Fonditore di bottoni, estremo “doppio” di Peer, che vorrebbe rifonderlo, ormai vecchio, nella sua cucchiaia; proprio come lo stesso Peer faceva per gioco da bambino con i bottoni di stagno.
Perché viviamo? A che scopo? Sempre lo stesso. Diventare bambini.
Locandina
Aase, vedova d’un contadino – LIA CAREDDU
Peer Gynt, suo figlio – SIMONE TONI
Solvejg – SARA ZANOBBIO
La piccola Helga – ELISABETTA SPAGGIARI
Lo sposo – LUIGI TONTORANELLI
Il padre dello sposo – PAOLO MELONI
La cuoca – MARIA GRAZIA BODIO
Ingrid, la sposa – ELISABETTA SPAGGIARI
Tre mandriane – ELEONORA GIUA, ISELLA ORCHIS, MICHELA MASCIA
Una donna vestita di verde – ISELLA ORCHIS
Il vecchio di Dovre – CESARE SALIU
Il vecchio troll di corte – PAOLO MELONI
Un brutto ragazzo – CESARE SALIU
Kari, moglie d’un contadino – MARIA GRAZIA BODIO
Con gli studenti della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari
nei ruoli di ragazze, ragazzi, troll, gnomi, coboldi:
Ilaria Anedda, Alex Asunis, Riccardo Berutti, Valentina Cauli, Francesco Casu, Michela Deidda, Andrea Dettori, Eric Follesa, Riccardo Lai, Michela Mascia, Elisa Massidda, Silvia Satta, Claudia Zuddas.
Musiche eseguite in scena dagli studenti del Conservatorio di Musica Pierluigi Da Palestrina:
Diego Ortu, violino, Eleonora Congiu, arpa, Elisa Ceravola, flauto-ottavino, Andrea Onnis, clarinetto basso, Andrea Desogus, Carlo Pusceddu, Stefano Tiesi, Mirko Cadeddu, percussioni
Progetto visivo Studenti Facoltà di Ingegneria e Architettura – Sezione Architettura
costumi Adriana Geraldo
Musiche Mario Borciani
Disegno luci Loïc François Hamelin
Regista assistente Nicolò Columbano
Allestimento realizzato dall’équipe tecnico-organizzativa del Teatro Stabile della Sardegna e dagli studenti di Architettura Giorgia Cadeddu, Marco Cocco, Edoardo Cossu, Marta Porcu, Valeria Spiga, Eleonora Uras, presso il Teatro Massimo di Cagliari
Direzione tecnica Loïc François Hamelin, Basilio Scalas
Elettricista Stefano Damasco • macchinista Massimo Fadda
Segretaria di produzione Claudia Pintor
Foto di scena Daniela Zedda
Si ringraziano
Fondazione Teatro Lirico di Cagliari, per la collaborazione
Eugenia Pinna, per la gentile consulenza sulla lana di Nule (SS)