L’Angelo di Kobane

di Henry Naylor

Teatro Elfo Puccini 14-19 maggio 2024

produzione TPE – Teatro Piemonte Europa
produzione originale 2018 Teatro Nazionale di Genova

regia di Simone Toni

con Anna Della Rosa
traduzione Carlo Sciaccaluga
creazione visiva Christian Zurita
produzione TPE – Teatro Piemonte Europa
produzione originale 2018 Teatro Nazionale di Genova
Pagina ufficiale
elfo puccini
Teatro d’arte Contemporanea

Scheda artistica

Chi ricorda l’assedio di Kobane? Era il 2014. Sono passati pochi anni, eppure di quei tragici fatti della guerra civile siriana resta una memoria evanescente e confusa, sopraffatta da sempre nuovi e tragici sviluppi in un quadrante geopolitico senza pace. Il pluripremiato autore inglese Henry Naylor ha condotto una lunga indagine, fatta di ricerche, interviste, studi su quanto accaduto e ne ha tratto un racconto magmatico, un flusso di coscienza che prende spunto da una storia vera. Quella di una giovane donna, una contadina kurdo-siriana chiamata Rehana, che avrebbe voluto studiare, diventare avvocato, e invece abbracciò il kalashnikov fino a diventare un implacabile cecchino delle truppe femminili che combatterono contro l’Isis. In scena Anna Della Rosa, applaudita in produzioni del TPE firmate da Valter Malosti come Molière / Il Misantropo e Cleopatràs di Giovanni Testori, in Accabadora di Michela Murgia e Sorelle di Pascal Rambert. Drammaturgo, autore e attore di serie satiriche per la televisione, Henry Naylor (1966) è ormai una presenza assidua all’Edinburgh Fringe Festival. Ha raggiunto il successo come autore con la trilogia Arabian Nightmares, di cui L’angelo di Kobane (Angel, rappresentato in Francia, Australia, Russia, Stati Uniti) è il terzo capitolo. «Volevo raccontare – spiega – quanto e come le nostre ambizioni, i nostri sogni, possano essere distrutti dalle ambizioni di qualcun altro. E di come una donna, che credeva nel pacifismo e nella giustizia, si sia convertita alle armi e alla violenza». La versione italiana ha debuttato all’edizione 2018 della Rassegna di Drammaturgia Contemporanea del Teatro Nazionale di Genova. Lo spettacolo viene finalmente ripreso per la Stagione TPE 22.23 dopo esser stato inizialmente previsto in cartellone all’Astra a novembre 2020 e riprogrammato a gennaio 2022.

Note di regia

“Il mio sangue la mia ultima linea di difesa” è la frase che Rehana pronuncia quando, per non essere stuprata da un membro dell’Isis che l’ha comprata in un mercato di Raqqa, si sporca le mutande con il sangue di una ferita che si è procurata cercando di scappare. Non è permesso, infatti, possedere una donna che ha le mestruazioni: l’uomo sarebbe dannato e per lui non si aprirebbero le porte di quel paradiso in cui dovrebbero attenderlo 72 vergini come premio per la sua guerra santa agli infedeli. Rehana per questa volta è salva.

In quella frase è raccolto il senso più profondo del testo e del nostro spettacolo: l’orgoglio e il coraggio del popolo curdo che da solo ha respinto e tuttora sta resistendo all’esercito di Daesh, l’Isis. La storia dell’uomo ci presenta innumerevoli avvenimenti in cui il sangue dei civili è stato l’ultima linea di difesa, e quando un popolo è costretto a prendere le armi per difendere la propria terra e la propria libertà è una sconfitta per tutto il genere umano. Ecco perché il nostro spettacolo oggi è ancora tristemente attuale. L’arte e la cultura dovrebbero contribuire a formare coscienze umane fatte di sentimento, comprensione e compassione. A tal proposito vorrei riportare una frase della lettera che il grande regista russo Lev Dodin ha scritto a W.Putin dopo pochi giorni dall’invasione dell’Ucraina:  “Nella mia infanzia, abbiamo giocato a difendere Mosca, Stalingrado, Leningrado, Kiev. Non posso nemmeno immaginare che oggi Kiev si difenda o si arrenda ai soldati o agli ufficiali russi. Il mio cervello si attacca al cranio e si rifiuta di vedere, di sentire, di immaginare tali immagini”. Ma noi teatranti, con il cranio attaccato al cervello abbiamo il dovere di far vedere gli orrori della guerra, sperando che l’antica funzione catartica del Teatro abbia ancora qualche potere nel toccare l’animo umano.

“L’angelo di Kobane” è la piccola grande storia di Rehana. In scena c’è solo un’attrice. Viene da un altrove e si presenta nel qui e ora per tranquillizzarci, non vuole farci sentire in colpa, vuole solo raccontare una storia di cui nessuno parla. Vuole raccontare come è stata costretta a scappare di casa un giorno con sua madre, perché stava arrivando l’Isis, e come poi sia fuggita tornando a cercare il padre che a sua insaputa era rimasto a combattere. Vuole renderci partecipi di come da aspirante avvocato sia divenuta uno spietato cecchino delle YPJ e di come infine sia stata catturata e decapitata, infrangendo la regola d’oro “tenere l’ultima pallottola per se stessi”. Soprattutto ci racconta il suo amore per la vita e di come le violenze subite non l’abbiano scalfito. Ci racconta degli alberi della fattoria di suo padre che un giorno, già combattente, ritrova bruciati dai terroristi ma che ricresceranno anche grazie al sangue, suo e delle sue compagne, di cui il suolo sembra essere assetato.

Ciò che mi ha guidato nella regia è stato prevalentemente il rispetto verso questo personaggio e la sua storia, che si è tradotto in un altrettanto grande rispetto e sostegno verso Anna Della Rosa che lo interpreta.
Rehana arriva con un borsa di pelle “vissuta”, carica di piccoli oggetti che nel corso dello spettacolo rimarranno a terra segnando il suo passaggio e un percorso emotivo che lo spettatore potrà condividere come se lo avesse anch’egli attraversato. Oggetti che potremmo ritrovare nello zaino di una ragazza che non c’è più. Anna agisce in un non-luogo di nylon bianco in cui sono presenti solo un ceppo di legno e una piccola tanica di plastica con del sangue/petrolio che insieme agli oggetti disegneranno quella che se fossimo in un museo di arte contemporanea potrebbe essere un’installazione dal nome “L’Angelo di Kobane” ma che sarà semplicemente il nostro spettacolo.  Siamo profondamente grati al destino che ci ha fatto incontrare questo angelo ed è con questo sentimento che cercheremo di raccontare la sua storia.

Brochure

Contesto storico

In un villaggio della Siria la giovane Rehana sogna di diventare avvocato. Si ritroverà a combattere in prima linea contro l’ISIS. Da una storia vera.
Era il 2014 quando l’ISIS attaccò e mise sotto assedio la città di Kobane e i villaggi attorno, al confine siriano con la Turchia. Un anno dopo, le truppe dell’alleanza tra curdi ed esercito siriano libero, con l’appoggio Usa, riconquistarono il territorio, ma una nuova offensiva dello stato islamico provocò ancora morti. Uccisioni, distruzione, fughe, violenze: passati cinque anni, la guerra siriana è una delle pagine più cupe della storia recente.

Il pluripremiato autore inglese Henry Naylor, classe 1966, ha condotto una lunga indagine su quei fatti, andando a fare interviste e ricerche sul campo (per assemblare uno studio accurato su quanto accaduto). Da quei materiali incandescenti ha tratto un magmatico racconto, un flusso di coscienza che prende spunto da una storia vera, quella di una giovane donna, una contadina curdo siriana chiamata Rehana, che avrebbe voluto studiare, diventare avvocato, e invece imbracciò il kalashnikov. Fino a diventare un implacabile cecchino delle truppe femminili che combatterono contro l’Isis. Storia amara, tragica, violenta, cruda come la guerra.

«Volevo raccontare – spiega Naylor – quanto e come i nostri sogni possono essere distrutti dalle ambizioni di qualcun altro. E di come una donna, che credeva nel pacifismo e nella giustizia, si sia convertita alle armi e alla violenza». La versione italiana dello spettacolo, nell’intensa traduzione di Carlo Sciaccaluga, con l’attenta regia di Simone Toni e la creazione scenico-visiva firmata da Christian Zurita, si avvale della magnifica performance interpretativa di Anna Della Rosa, davvero straordinaria nei panni della giovane guerrigliera. Dopo il debutto alla Rassegna di drammaturgia contemporanea del 2018, L’angelo di Kobane torna in scena sull’onda di un sincero e condiviso successo. Per non dimenticare.

Foto di scena