18/05/2024

L’angelo di Kobane, recensione di Carlo Tomeo

“L’angelo di Kobane” al Teatro Elfo Puccini di Milano, sala Bausch – Recensione di Carlo Tomeo, Milano

“L’angelo di Kobane” al Teatro Elfo Puccini di Milano, sala Bausch – Recensione di Carlo Tomeo, Milano

Si riconosca meritevole il Teatro Nazionale di Genova per aver prodotto nel 2018 uno spettacolo di importante impegno politico e di denuncia contro uno dei mali più terribili che affliggono l’umanità, quello della guerra. E se ne riconosca il merito al TPE (Teatro Piemonte Europa) per averlo ripreso e a quei teatri che nella loro programmazione inseriscono ancora a distanza di sei anni quel testo che tratta una vicenda dal tema bellico, sempre attuale per denunciare la violenza e l’ingiustizia subìta da quei popoli costretti all’invasione e a imbracciare le armi di difesa. E quando questo si verifica, e purtroppo nella nostra epoca accade sempre frequentemente, il risultato è indice di una disfatta di valori per tutto il genere umano. Lo spettacolo in questione è “L’angelo di Kobane” scritto da Henry Naylor, terzo capitolo della trilogia “Arabian Nightmares”, tradotto e rappresentato con lusinghiero successo in vari paesi mondiali di ordinamento democratico. Ora è riproposto dal Teatro Elfo Puccini per sei giorni nella sala Bausch e recitato da Anna Della Rosa, l’attrice che l’ha interpretato fin dalla prima volta e l’ha periodicamente portato in tournée con enorme successo in vari teatri italiani.

L’angelo del titolo è Rehana, una contadina curda che vive in una campagna circostante la città di Kobane nella Siria settentrionale del 2014. Il padre vorrebbe che lei continuasse il lavoro di famiglia ma lei sogna di andare in città e diventare avvocato. Le sue aspirazioni sono destinate a naufragare nel momento in cui il territorio viene occupato dall’ISIS e lei si vede costretta a fuggire, diventando combattente clandestina insieme a un altro gruppo di ragazze curde alleate sotto la sigla di Unità di Difesa delle Donne. L’infrangere dei suoi sogni e il dolore per la sofferenza inferta al suo popolo le procurano quella rabbia che sovrasta, fino a sostituirla, la propria indole pacifica fino al punto di farle abbracciare un Kalasnikov che la renderà cecchino contro l’invasore. E diventerà così brava da riuscire a scomporre e a ricomporre l’arma velocemente a occhi chiusi.

Quando si ha a che fare con esseri spietati c’è un solo modo per cercare di salvarsi: diventare e sovrastare quella spietatezza. E Rehana ci mette anima e corpo in quel suo procedere, arriva a uccidere cento uomini dell’esercito nemico e riesce anche a scampare a uno stupro imbrattandosi di sangue le parti intime fingendo di essere mestruata e, secondo la religione islamica, considerata impura e quindi non violabile con un atto sessuale.

langelo-di-kobane-nuovo-1.jpegLa donna racconta come sia stata capace di trasformare la sua persona in un essere implacabile accogliendo e coltivando il sentimento dell’odio che fino a poco prima l’invasione del nemico le era del tutto sconosciuto. In un territorio, così geograficamente piccolo, due componenti importanti di una famiglia pacifica sono costretti alla separazione per colpa di un conflitto assurdo dove lei si muove con la sua arma in vari punti della città e il padre è combattente al fronte confinante con la Turchia. “Per far nascere una terra dalla tirannia dobbiamo essere sanguinari” grida Rehana nel narrare la realtà in cui vive rendendo quella frase il suo manifesto. E lo sarà fino alla fine quando, fatta prigioniera e infrangendo una delle regole dei combattenti islamici secondo la quale per evitare la condanna a morte ti è concesso di dirigere l’ultimo colpo rimasto in canna verso te stesso, sceglierà di sparare quell’unico colpo contro il centunesimo nemico che ha davanti per impedirgli di andare in paradiso se sarà ucciso da una donna. Perché, e lo griderà a gola spiegata in un urlo di dolore, lei è stata già uccisa e non potrà morire una seconda volta. È questo il momento più drammatico della pièce, quello che procura un sussulto di brivido seguìto subito dalla più struggente commozione.

Tratto da una storia vera, il monologo si avvale della pregevole versione italiana di Carlo Sciaccaluga magnificata dall’appassionante interpretazione di quell’attrice talentuosa che è Anna Della Rosa, attenta a mettere in risalto ogni sfumatura della psicologia del personaggio di Rehana e dimostrando di possedere un ricco bagaglio attoriale esaltato specialmente nei monologhi (Si pensi per esempio alle sue indimenticabili interpretazioni di “Cleopatras” tratto dai “Tre lai” di Testori e di “Accabadora” dal romanzo di Michela Murgia).

Il regista Simone Toni ha guidato l’attrice inserendo la sua interpretazione in uno spazio privo di elementi scenici a parte un grande tronco di albero sul quale è poggiata una scure, che richiamano attività agresti ma anche simboli di momenti truci di carattere bellico e non, come quello della decapitazione. Qui Rehana si muove indossando a tratti una sciarpa colorata che si trasforma anche in turbante quando è avvolta sul capo. Alle sue spalle un telo (creazione visiva di Christian Zurita) che lei imbratta con sangue e sul quale scorrono immagini di case e luoghi devastati e distrutti da bombe.

Al termine della pièce Anna Della Rosa è stata lungamente applaudita da un pubblico commosso e dimostratosi entusiasta. Repliche fino a domenica 19 maggio (prezzi e orari in calce) Da non perdere!

Visto il giorno 14 maggio 2024

(Carlo Tomeo)

L’ANGELO DI KOBANE
di Henry Naylor
versione italiana Carlo Sciaccaluga
regia Simone Toni
con Anna Della Rosa
creazione visiva Christian Zurita
produz. TPE (Teatro Piemonte Europa) – produz. originale Teatro Nazionale di Genova

Foto di Patrizia Lanna

durata 1 ora e 15 minuti, senza intervallo

Teatro Elfo Puccini, sala Bausch, corso Buenos Aires 33,

Durata spettacolo: 1 ora 25 – Orari: merc-giov-sab ore 19.30 / ven ore 21 / dom ore 15.30
Prezzi: intero € 34 / <25 anni € 15 / > 65 anni € 18 / online da € 16,50
Biglietteria: tel. 02.0066.0606 – biglietteria@elfo.org – whatsapp 333.20.49021