31/07/2020

Al Teatro Antico di Taormina Gabriele Lavia rilegge Medea di Euripide attraverso il male di vivere

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Teatro.it
di Loredana Audibert
(31 luglio 2020)

Doppio appuntamento l’8 agosto con la prima nazionale di “Medea “e il 9 agosto con “Il sogno di un uomo ridicolo” di Dostoevskij per la regia e l’interpretazione di Lavia.

Desiderio di rinascita e speranza di armonia sono i beneauguranti auspici sotto cui sta per riavviarsi la stagione di prosa estiva inserita nel programma di Taormina Arte 2020. Sabato 8 agosto l’inaugurazione degli spettacoli toccherà alla celeberrima Medea di Euripide, rivisitata secondo la riscrittura testuale e drammaturgica del regista Gabriele Lavia in funzione dei due attori in scena, Federica De Martino e Simone Toni.

Diverse volte protagonista al Teatro Antico di Taormina, nella serata del 9 agosto Lavia si misurerà con le inquietudini dostoevskiane nel monologo ricavato dal racconto Il sogno di un uomo ridicolo. La pièce, già apprezzata dal diciottenne Lavia “non ancora attore” ed ormai inserita tra i cavalli di battaglia di questo artista, esplora con acume quel novero di dilemmi esistenziali affrontati anche nella Medea, costituendo, insieme a quest’ultima, un avvincente duetto di apertura della manifestazione.

Il compito di mascotte degli eventi è invece affidato alla Sacerdotessa di Iside, importante reperto archeologico locale individuato come simbolo ufficiale della rassegna.

Lavia e la sua Medea «fedelissima» e «infedelissima»

Controverso e spiazzante, scandaloso ed umanissimo, il mito di Medea al centro dell’omonimo capolavoro euripideo cattura l’interesse, spinge a prendere posizione tingendosi di molteplici sfumature interpretative di valenza universale. Nella particolare riduzione di Lavia la presenza di soli due attori in scena testimonia  la profonda rielaborazione dell’impianto drammaturgico antico, per cui, come si legge nelle note di regia, «la struttura della tragedia greca viene ingoiata da una nuova struttura contemporanea», «spogliata» dell’inessenziale e ridotta al nucleo centrale del messaggio testuale.

La complessità di questa ambiziosa operazione apre così nuovi scenari ben inserendosi nell’annosa querelle sull’opportunità di rivisitare l’arte di un dato periodo storico e di esporla a destrutturazioni e modifiche dettate dal sentire e dai canoni compositivi dell’oggi.

Lavia sceglie di aggirare il nodo, consapevole che «il sentimento di perdita, di svuotamento, di spiazzamento da un “ambito-antico” a una condizione “nostra”, nel rigoroso rispetto del “testo” poetico, toglie allo spettatore ogni pre-concetto estetico intorno ad un certo “spettacolo moderno” di un testo antico».

Si ricorre infatti agli strumenti del presente per ritrarre i mali che hanno avvelenato il rapporto di coppia in ogni tempo e che si collocano pertanto al di fuori del tempo della Storia: «Immaginiamo una sinfonia che venga suonata a Jazz soltanto da due strumenti “amorosi e virtuosi” tenendo ferma nel cuore la “tragedia” di Euripide “per due voci sole” in uno spietato duetto che lasci lo spettatore letteralmente senza fiato».

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