di Emanuela Mortari
(2 luglio 2021)
Genova. Teatro pubblico. Il significato di questo connubio tra sostantivo e aggettivo ha trovato nella rappresentazione gratuita della Congiura del Fiesco a Genova (grazie anche al main sponsor Iren) la sua massima espressione.
È una meraviglia vedere lo spettacolo, una nuova produzione del Teatro Nazionale di Genova, così ben calato in una in piazza San Lorenzo gremita di persone al di fuori del perimetro delle sedute ai lati del palco (prenotazioni esaurite sino al termine delle repliche): sui gradini della cattedrale, ai tavolini dei dehors, anche in piedi lateralmente.
Veniamo allo spettacolo (sino al 4 luglio ore 21.30): Carlo Sciaccaluga, il regista, l’ha definito il Games of thrones genovese a ragione. La Congiura del Fiesco a Genova è la trasposizione teatrale di Friedrich Schiller (1783) di fatti realmente accaduti quando ancora era in vita la Repubblica genovese (1547).
Passione politica e passioni amorose si mescolano in un turbinio di eventi collettivi e privati esaltati dalle musiche di Andrea Nicolini.
Trama. Repubblica di Genova, 1547. Andrea Doria ha ottant’anni. Nonostante non mantenga nessuna carica ufficiale, domina incontrastato la scena politica genovese. Il nipote Giannettino aspetta con ansia il proprio momento: vorrebbe rovesciare la Repubblica, farsi Duca di Genova e governare da solo. Le speranze degli oppositori, che pensano che i Doria abbiano troppo potere e che le antiche libertà della Repubblica siano a rischio, sono riposte in una sola persona, il giovane Conte di Lavagna, Gian Luigi Fieschi.
Rispetto ai fatti originali Schiller affibbia a Giannettino il ruolo di volgare despota. La violenza sessuale ai danni della figlia del repubblicano Verrina scatena la voglia di vendetta che mescola appunto privato e pubblico. Lo stesso Gian Luigi Fieschi è sordo alle richieste della moglie di non andare fino in fondo con la congiura: pagherà cara la sua smisurata ambizione di diventare a sua volta duca di Genova.
Le prove degli attori sono tutte caratterizzate da un’elevata intensità non solo nell’emissione vocale, ma anche nell’impegno fisico. Ne citiamo alcuni, ma applaudiamo tutti. Simone Toni, che veste i panni di Gian Luigi Fieschi, ha retto benissimo la scena nonostante la stampella necessaria dopo un infortunio avvenuto durante la prima rappresentazione. Lo strumento non è apparso per nulla estraneo: tanto di cappello per come l’attore sia riuscito comunque a correre o a cadere a terra nei momenti in cui era richiesto. Aldo Ottobrino è un Giannettino davvero perfido. L’Andrea Doria di Andrea Nicolini sprizza autorevolezza da tutti i pori. Brividi quando pronuncia la frase “Sono abituato che il mare mi sta a sentire quando parlo”.
Completano il cast Roberto Serpi (Verrina), Francesco Sferrazza Papa (Borgognino, congiurato), Marco Grossi (Calcagno, congiurato), Silvia Biancalana (Lomellini, nobile genovese), Maurizio Bousso (Muley Hassan, moro tunisino), Barbara Giordano (Eleonora, moglie di Fiesco), Irene Villa (Giulia, sorella di Giannettino Doria), Chiara Vitiello (Berta, figlia di Verrina), Melania Genna (Arabella, cameriera di Eleonora).
Gli attori si sono ben destreggiati anche con il dialetto genovese, inserito con parsimonia in questa nuova versione italiana del testo (alcune battute sono memorabili) a cura dello stesso Sciaccaluga a cui va l’ultima menzione: spesso i figli che intraprendono lo stesso mestiere del padre vivono di rendita, per Carlo Sciaccaluga possiamo tranquillamente dire che non è così. Con le sue regie (abbiamo apprezzato per esempio Una mano mozzata a Spokane) sta dimostrando ampiamente di meritare questa carriera che è solo all’inizio anche se già esercitata da tempo.
La congiura del Fiesco sarà di sicuro in cartellone durante la stagione invernale del Teatro Nazionale, ma auspichiamo davvero, concordando sia con il direttore del teatro Davide Livermore, sia con gli assessori comunali e regionali alla Cultura, che possa essere riproposto anche le prossime estati.
ph Federico Pitto
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