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di Giancarlo Loffarelli
Lunedì 6 febbraio 2006, alle ore 20, presso i “Lumiq studios” di viale Lombardia 190 a Torino va in scena la Prima assoluta dello spettacolo teatrale Lo specchio del diavolo. Si tratta di una messinscena prodotta dal Teatro Stabile di Torino per la regia di Luca Ronconi, con interpreti Iaia Forte, Elia Schilton, Melania Giglio, Giovanni Crippa, Tommaso Ragno, per limitarci ai nomi più noti. Gli attori, nel complesso, però sono 47. Lo spettacolo era stato allestito all’interno del “Progetto Domani” in occasione delle Olimpiadi invernali che in quell’anno si svolsero a Torino. Rimase lì in scena a fino a sabato 11 marzo e poi iniziò una lunga tournée.
L’autore del testo messo in scena da Luca Ronconi era Giorgio Ruffolo, non un drammaturgo, bensì un economista. E Ruffolo, all’epoca un ottantenne che aveva dedicato tutta la vita all’economia, militante della sinistra lombardiana del Partito socialista, più volte ministro nei governi presieduti da Giovanni Goria, da Ciriaco De Mita e in due governi presieduti da Giulio Andreotti, non aveva avuto una tardiva conversione sulla via del teatro, non si era cimentato a comporre una drammaturgia. Il testo che egli aveva scritto, infatti, con lo stesso titolo con cui poi era andato in scena, non era un testo teatrale ma un saggio di economia, come diceva il suo sottotitolo: la storia dell’economia dal Paradiso terrestre all’inferno della finanza. Nel saggio di Ruffolo ci s’interroga su a cosa serva l’economia, ci si chiede se l’economia sia al servizio degli uomini o siano gli uomini a essere collocati al servizio di essa. E per cercare di rispondere a queste domande, l’Autore affronta gli aspetti cruciali della scienza economica, considerata nei suoi stretti legami con la tecnica, con la moneta e con la politica, partendo dal Paradiso terrestre, nel momento in cui l’uomo, cacciato da Dio, scopre la tecnica, fino alle grandi turbolenze monetarie che hanno investito in misura e modalità diverse ogni periodo storico, per giungere alla guerra, ancora oggi non conclusa, che il capitalismo ha ingaggiato, fin dalla sua nascita, sfidando il potere politico. Insomma, un viaggio attraverso i secoli e dentro la storia alla scoperta di una scienza che, come sostiene lo stesso Ruffolo, «dovrebbe servire all’uomo per aumentare il benessere, la ricchezza e anche la felicità del popolo».
Il teatro si è sempre occupato di economia creando personaggi a tutto tondo. Pensiamo a ll mercante di Venezia di Shakespeare, a Mercadet l’affarista di Balzac, a Gli affari sono gli affari di Mirbeau e a tutto il teatro francese dell’Ottocento, fino alla recente Lehman Trilogy di Stefano Massini che, dopo il crollo della “Lehman Brothers” nel 2008, ricostruisce la storia dei tre fratelli ebrei tedeschi (Henri, Emanuel e Mayer) emigrati in Alabama, che nel 1850 fondarono la società.
Quando il teatro ha compiuto questa operazione con l’intento di affrontare questioni di carattere economico e finanziario, ha sempre inventato personaggi posseduti da una sorta di eros, dall’avidità di far quattrini, riportando quei temi al mondo dello spettatore. Ha cioè creato personaggi e vicende in cui il pubblico potesse riconoscersi con una certa evidenza poiché tratti dalla vita. Ronconi, invece, volle sperimentare una prospettiva diversa. Trovò interessante vedere cosa succede se il tema viene affrontato scavalcando completamente il personaggio per far parlare la materia stessa evocata dal dramma. La scrittura saggistica de Lo specchio del diavolo fu scomposta da Ronconi in più voci. Questo, però, fu ben diverso dall’attribuire le voci ai personaggi. Il testo di Ruffolo è, infatti, popolato da figure come Eva, Adamo, il Padreterno che non possiedono lo status di personaggi, vale a dire che non hanno uno sviluppo psicologico e delle dinamiche relazionali credibili. Nello specifico teatrale, ogni personaggio ha un suo linguaggio, diverso da quello degli altri personaggi; in questo spettacolo tutte le voci hanno lo stesso linguaggio che, in sostanza, è quello di Ruffolo. Quando questi andò a vedere le prove, si stupì nello scoprire che non era stata modificata nemmeno una parola del suo saggio, essendosi limitato il regista a operare soltanto dei tagli senza cambiare alcunché. Ronconi volle portare sulla scena una duplice prospettiva, così come accade nella vita reale, riflettendola nella distribuzione degli attori: da una parte, un gruppo di attori che sa ed è detentore di un certo linguaggio, dall’altra, un altro gruppo di attori che invece non sa e cerca di decifrare un linguaggio che non conosce. In queste due prospettive, gli spettatori, a seconda delle proprie competenze e dei propri interessi, possono immedesimarsi. All’interno di questi due grandi campi ci sono, poi, le differenze prodotte dai diversi gradi d’ignoranza, dalle ragioni dell’ignoranza, dall’appartenenza sociale e dall’epoca storica vissuta.
Lo specchio del diavolo è diviso in tre parti. Una prima parte dedicata al tema dello sviluppo sostenibile e dello sfruttamento delle risorse naturali, ambientata in una sorta di supermercato di frutta e verdura, per affrontare il discorso dell’emergenza delle risorse naturali; una seconda incentrata sull’invenzione e la storia della moneta, ambientata nello stesso luogo trasformato nel caveau di una banca; una terza sui rapporti tra economia e politica, collocata in uno spazio che sembra appartenere al mondo della carta stampata.
In ultima analisi, si tratta di un’opera provocatoria che possiede l’intelligenza e la delicatezza di accennare senza voler convincere, che si propone soltanto di suggerire e di provocare, lasciando poi la decisione allo spettatore, il quale è invitato a capire che il mondo dell’economia non è affatto precluso a chi ne subisce solamente le conseguenze. Intende contribuire a modificare due atteggiamenti: da una parte quello di venerazione cieca nei confronti dell’economia, della finanza e del mercato; dall’altra quello di condanna cieca e preconcetta. Questo secondo atteggiamento probabilmente è prodotto da una mole d’informazione quotidiana e contraddittoria che produce l’effetto paradossale di cancellare la memoria.
L’andamento storico ma non nozionistico del testo di Ruffolo e dello spettacolo di Ronconi assume l’impegno di ricordare quali siano le cause di determinati effetti economici. Ronconi è consapevole che anche il pubblico teatrale è ormai un pubblico educato (bene o male) dalla televisione e decide di rubarle qualcosa, vale a dire la possibilità comunicativa. La frantumazione del personaggio, per esempio, è qualcosa che si colloca in rapporto con la percezione televisiva, la quale necessita di un rinnovamento continuo di attenzione. È per questo che le figure de Lo specchio del diavolo non hanno una dimensione psicologica o naturalistica bensì una connotazione “ambientale”. I nuclei dei personaggi comprendono consumatori, investitori, risparmiatori, operatori di borsa, plutocrati: categorie alle quali ognuno di noi, di fatto, appartiene.
Il tema che attraversa tutti e tre gli atti è l’impossibilità di comprendere quale rapporto esista tra la produzione e lo scarto della merce, che non si sa mai se sia lì lì per essere distribuita o per andare al macero. Alla fine, il testo e lo spettacolo si rifiutano di assumere una posizione precisa in merito. Essi si sottraggono per lasciare spazio alla responsabilità dello spettatore.
di Giancarlo Loffarelli